S. Ambrogio Martire

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Statua del Martire S. Ambrogio

S. Ambrogio Martire protettore di Ferentino

A cura della Prof.ssa Biancamaria Valeri
Il patrono di Ferentino S. Ambrogio martire fu un soldato romano. Ligure di nascita, mentre era a Milano, conobbe il preside Publio Daciano, che lo iscrisse alla milizia e lo proclamò centurione della cavalleria. Giunto con l’esercito a Ferentino, per ordine di Diocleziano, Daciano cominciò una feroce persecuzione contro la comunità cristiana della città; ma grande fu il turbamento del Preside quando scoprì che Ambrogio, il suo fidato centurione, era anche lui cristiano. Daciano tentò dapprima di convincerlo ad abiurare, ma quando si accorse dell’inutilità dei tentativi, sottopose Ambrogio ad un processo. Nessuna violenza piegoòla fede del Centurione, che preferì morire piuttosto che tradire Cristo. Il martirio avvenne il 16 agosto dell’anno 304, nella località del Monticchio. Il corpo del martire Ambrogio fu abbandonato dai carnefici, ma nottetempo i cristiani della comunità ferentinate lo recuperarono e gli diedero degna sepoltura. Il sepolcro di Ambrogio fu segretamente custodito fino alla pacificazione religiosa del 313, quando con l’editto di Milano Costantino concesse la libertà di culto ai cristiani.
La memoria del martirio di Ambrogio, rimasta viva tra i ferentinati, finalmente poté essere celebrata in piena libertà. Fu recuperato il corpo di Ambrogio e trasportato, come attesta la tradizione, nella chiesa di S. Agata, dove rimase per alcuni secoli, fino a quando le scorrerie saracene non misero in pericolo la sicurezza del luogo. Per proteggere le reliquie del Santo, i ferentinati le trasportarono nella chiesa di S. Maria Maggiore, da dove nel 1108 furono prelevate per essere collocate in un tempio più degno: la nuova cattedrale, edificata sull’acropoli dal vescovo Agostino (1106-1113).
Le venerate spoglie furono riposte nella splendida cappella intitolata al martire Ambrogio, sita nella navata destra.
La cappella era abbellita da fregi cosmateschi ed era pavimentata con lastre di marmo. Nell’abside, che la chiudeva, era affrescata l’incoronazione della Vergine; altre decorazioni pittoriche erano affrescate lungo i muri. Un’elegante balaustra marmorea, opera di Paolo, marmorario romano, indicava con una sinuosa scrittura onciale il carattere sacro del luogo:

MARTIR MIRIFICUS IACET HIC AMBROSIUS INTUS

(qui dentro giace il mirabile martire Ambrogio)

L’iscrizione continua fornendo altre indicazioni. Il pontefice, sotto il quale avvenne la traslazione delle ossa di S.Ambrogio, fu Pasquale II (1099-1118), essendo vescovo (pastor pius) della chiesa ferentinate Agostino; la prima inventib (ritrovamento) delle ossa del Martire era avvenuta al tempo di Pasquale I (817-824), così come testimoniava l’autentica conservata nell’urna funeraria, che l’altare gelosamente racchiudeva.
La cura della cappella di S. Ambrogio fu affidata, sicuramente dal XIII secolo, alla più antica confraternita ferentinate, quella dello Spirito Santo.
La comunità cristiana di Ferentino ab immemurabili riconobbe in S. Ambrogio il suo potente protettore. Come ci testimonia la tradizione il santo Patrono nell’829 salvò con un prodigio (tramutò migliaia di lumache in un esercito di armati) la città dalle scorribande dei saraceni; intervenne a scongiurare la distruzione di Ferentino al tempo di Enrico VI di Svevia (XII sec.), figlio di Federico Barbarossa; sostenne la resistenza che i ferentinati opposero ai fratelli Giovanni e Vello Caetani, conti di Fondi, che intendevano impadronirsi della città (XIV sec.); infine scampò Ferentino dal pericolo dei terremoti, che nel XVIII secolo si verificarono nel territorio. La devozione a S. Ambrogio fu testimoniata non solo dall’edificazione della cappella a lui intitolata nella cattedrale, ma anche dall’intitolazione in S. Lucia, una delle chiese più antiche di Ferentino (XI sec.), di un altare al Martire. Quest’ultima cappella era affrescata con l’immagine del titolare attorniato da altri santi.
Nel territorio di Ferentino, nel castrum di Selvamolle nel 1328 è documentata l’esistenza di una chiesa eretta in onore di S. Ambrogio, il cui beneficiato, don Andrea, abate di S. Giovanni Evangelista, il 15 agosto dello stesso anno pagò una decima di 31 solidi e 3 denari. Tale cifra fu considerevole, se si pensa che la chiesa di S. Valentino pagò 30 solidi e quella di S. Maria Maggiore 55. Il reddito del titolo di S. Ambrogio in Selvamolle nelle esazioni del biennio 1331-1333 crollò a solidi 4 e denari 6; nel triennio 1343-1346 la chiesa di S. Ambrogio in Selvamolle non viene menzionata e l’intero benelicio è dichiarato insolvente. La devozione al santo Patrono fu così radicata nei fe rentinati che ebbe suggello anche nel corpus statutario comunale. Il Podesta, al momento di essere investito della sua carica, giurava di rispettarla fedelmente (libro I, rubrica VII). Una pena di 50 libre era inflitta a chi guastava o deturpava (libro II, rubrica CXLIII).

Tra le feste da rispettare e celebrare nel Comune era quella di S. Ambrogio nella ricorrenza del suo martirio, il 16 di agosto. In tale solennità non si doveva lavorare né dentro né fuori città (libro III, rubrica XXII); gli osti del Comune dalla vigilia (15 agosto) a tutto il dì seguente potevano tenere aperte le loro osterie (libro V,— rubrica LXI) e vendere anche di notte il vino senza pericolo di punizioni. Le taverne potevano essere frequentate dai cittadini e dai forestieri anche per tutta la notte, a patto che gli avventori fossero di buona fama e conversazione onesta; di questo faceva fede il giuramento dell’interpellato (libro II, rubrica CXIX). Il giorno della festa, 16 agosto, si teneva una fiera, a cui erano preposti come organizzatori quattro boni homines ed un notaio, per assicurare un corretto svolgimento delle at tività. I Lo Statuto imponeva al Podestà di assistere alla festa pro honore delle cerimonie e della fiera (libro I, rubrica XXXVII). Per rendere piu sontuosa la commemorazione del Martire, definito anche avvocato della città, si dovevano acquistare due tipi di drappi (bravia), premio per i cavalli che vincevano il palio: uno di panno di Firenze o Verona del valore di due ducati per la corsa dei cavalli e l’altro di panno di Camerino o Aquilano del valore di circa 12 carlini per la corsa delle cavalle. Per gli officiali del Comune inadempienti la pena era di 40 libre (libro V, rubrica XLIII).
Nel 1397 Bonifacio IX volle premiare la devozione verso S. Ambrogio, concedendo l’indulgenza plenaria a chi facesse visita al sepolcro del Martire nei giorni 15 e 16 agosto di ogni anno.

L’INVENTIO

Negli Statuti medievali, il cui codice più antico in nostro possesso risale alla metà del XV secolo, non si fa menzione della festa del 1° maggio in onore di S. Ambrogio. Nel calendimaggio si giocava ad candiculas, gioco a cui erano interdette le ragazze minori di 12 anni (libro V, rubrica LXXXII).
La “cristianizzazione” della festa ancora paganeggiante del 1° maggio e il suo riferimento esclusivo a S. Ambrogio si deve al vescovo Ennio Filonardi (1612—1644), in conseguenza dell’inventio (ritrovamento) delle reliquie del Martire, avvenuta il 27 aprile 1639.
Possediamo l’atto notarile, redatto dal notaio Giovanni Battista Pietroconte, che fu chiamato a presenziare al lavoro di indagine nell’altare della cappella di S. Ambrogio, sita in cattedrale.
Per tradizione si credeva che li fossero conservate le reliquie del Martire ed il 27 aprile 1639, merceledì, si volle appurare la lore reale esistenza. Erano presenti Tarquinio Muccosi, canonico teologo della cattedrale e vicario generale, i canonici Orazio Giorgi, Camillo Pompili, Paolo Pagella, Rodolfo Bagale, Giovanni Battista Rosati e Giovanni Matteo Cascese.
Tolta la mensa, questi videro che l’altare era cavo e nel suo interno conteneva tre urne. Fu Matteo Cascese che entrò nell’altare e ad una ad una tirò fuori le urne. La prima di cristallo, con il simbolo del Comune, il giglio, conteneva ossa e un foglio di carta: l’autentica. A contatto con l’aria il foglio si dissolse, ma non prima che i canonici vi leggessero: Ambrogio martire, Agostino vescovo di Ferentino. Era l’autentica del vescovo Agostino, colui che aveva degnamente enorato la memoria del Santo. Una seconda urna era di porcellana e conteneva le insegne militari di Ambrogio; la terza teca, di piombo, conteneva altre ossa del martire.
Divulgata la notizia, si ebbe gran concorso di popolo in cattedrale, preceduto dalle Autorita comunali. Il vescovo Filonardi, arrivato nella cappella, intonò il Te Deum laudamus e indisse una solenne processione di ringraziamento per la domenica successiva, il 1° maggio. Il notaio Rosati ci ha tramandato la relazione della precessione del 1° maggioe 1639. Il vicario generale, Tarquinio Muccosi, il 1° maggio prelevò dall’altare di S. Ambrogio le reliquie del Protettore e le passò ai canonici Orazio Giorgi e Tiberio Santino, i quali processionalmente le collocarono sull’altare maggiore per mostrarle al Magistrote della città e a tutto il popolo accorso in cattedrale. Dopo la venerazione delle reliquie, poste queste in una cassa, iniziò la processione, che percorse tutte le vie cittadine, toccando prima la chiesa di S. Agata, poi quella di S. Valentino, perché le sacre spoglie fossero venerate dalle monache; poi, passando da porta Posterula e rientrando per Porta Montana, la processione tornò in cattedrale, dove l’urna fu riposta alla presenza del capopriore Francesco Moccosi e del podestà Aristotele Orlando. La processione del 1° maggio fu preceduta da tre sere di festeggiamenti: il popolo addobbò le vie con fuochi, fiori, tappeti, altari e luminarie.
LA STATUA
Subito apparve necessario che bisognava istituire una ricorrenza liturgica per commemorare lo straordinario evento dell’inventio; ma si dovevano prendere le opportune misure di sicurezza per proteggere le sacre reliquie. Non si poteva ogni anno portare in processione l’urna con le spoglie mortali del Martire; queste dovevano essere assicurate in un luogo decoroso, mentre alla devozione dei fedeli bisognava offrire un simulacro degno di rappresentare l’effige del Protettore. I1 19 maggio 1639 si riunì il Consiglio comunale alla presenza del podestà Aristotele Orlando, del capopriore Giovanni Battista Pagella e del priore Francesco Rocchi per decidere sul modo migliore di conservare le venerate reliquie del martire Ambrogio. I cittadini avevano rivolto istanza per <> di S. Ambrogio, ma il Consiglio ritenne opportuno iniziare una sottoscrizione per raccogliere le elemosine necessarie a commissionare un’opera votiva. Prese la parola il consigliere Cesare Masi, richiedendo l’elezione di dieci cittadini, con i quali formare una commissione per lo studio delle proposte; a lui fece eco Arcangelo Valenti, che propose di ridurre l’eventuale commissione a quattro componenti, scelti uno per contrada. La città di Ferentino era divisa in quattro quartieri, denominati dal titolo della porta urbica che li caratterizzava: Porta Montana, Porta Posterula o S. Francesco, Porta Sanguinaria e Porta del Borgo o S. Agata. Il Valenti proponeva quattro deputati che, nel mese di agosto, si sarebbero posti vicino alla porta del loro quartiere per riscuotere le elemosine degli offerenti, segnati in un elenco apposito indicando la somma elargita. I deputati, a suo giudizio, dovevano essere: per il quartiere di Porta Montana Cesare Sisti, per quello di Porta Posterula Benedetto De Sanctis, per quello di Porta Sanguinaria il cav. Tommaso Bagale e per quello di Porta del Borgo il cav. Francesco Moccosi. Naturalmente, prima di dare luogo a tale raccolta di fondi, bisognava interpellare il Vescovo e ricevere da lui l’approvazione. Il consiglio approvò tale proposta e il 24 luglio 1639 notò con soddisfazione che i cittadini avevano corrisposto alle sue deliberazioni, offrendo grande quantità di grano, tanto da dover costituire un Monte Frumentario ed eleggere un depositario per i denari offerti. Il consigliere Carlo Tibaldeschi propose come <>, ossia custodi del Monte Frumentario, formatosi con il grano offerto, Giovanni Ambrogio Sisti e Livio Squanquarilli, che avrebbero ricevuto dal Comune due pale, marcate col sigillo, e una quarta, recipiente di misura per il frumento; come controllore propose Giovanni Antonio Loyra. I due proposti erano presenti in consiglio, per questo, appena approvata all’unanimità l’arringa Tibaldeschi, accettarono 1’incarico e giurarono di assolverlo con onesta e fedeltà. Intanto il Comune, il 12 novembre 1639, deliberò di acquistare un artistico candeliere d’argento del valore di 50 scudi, per abbellire l’altare del Santo . L’impegno più gravoso, per soddisfare il desiderio di testimoniare degna memoria al Martire, fu assunto dalla collettività il 22 aprile 1640, quando il consiglio decise di far modellare una statua commemorativa del Protettore. Il disegno, presentato dalla Comunità, si richiamava alle varie raffigurazioni del Patrono affrescate sia sull’altare della cappella in cattedrale sia in altre cappelle cittadine, in cui il Santo era disegnato a cavallo e in abito militare romano.
La statua tutta d’argento, del peso di 60 libbre (circa 25 kg), doveva rappresentare S. Ambrogio a cavallo. Tale risoluzione era stata presa dal Consiglio generale del Comune di Ferentino; era capopriore Tommaso Bagale e priori Marsilio Spatorcia, Benedetto Viola e Clerico Persia. Il consiglio fu celebrato davanti allo stesso podestà Costantino Fabrizi ed ebbe la partecipazione di centosette rappresentanti popolari. Tutti i consiglieri furono concordi nel decidere la commissione di una statua d’argento in onore del Patrono, statua che doveva essere considerata come un ex voto offerto dal Consiglio e dal popolo di Ferentino. Per tale motivo tutti dovevano concorrere alla spesa dell’opera, il cui costo non era indifferente. Nella prima offerta di elemosine si erano raccolti 450 scudi, ma ne occorrevano altri 350 per completare la spesa, che raggiungeva la somma di 800 scudi. Nel consiglio del 22 aprile 1640 si discusse molto sul modo di imporre la colletta: prevalse la proposta del consigliere Arcangelo Valenti, che trovò sostenitori anche lo stesso Podestà e i consiglieri Giacinto e Giulio Ghetti, Francesco Moccosi, Giangiacomo Giuli, Giovanni Battista Pietroconte, Pirro Gizzi e Ambrogio Ferri. Arcangelo Valenti propose di chiedere alla Congregazione del Buon Governo non solo l’autorizzazione a commissionare la statua votiva, ma anche a imporre una colletta sui cittadini per reperire i 350 scudi occorrenti per completare il pagamento della spesa complessiva. I cittadini sarebbero stati divisi in tre ordini: Ricchi, Mediocri e Poveri e a ciascun ordine sarebbe stata imposta una contribuzione . La Congregazione del Buon Governo concesse l’autorizzazione richiesta il 5 maggio 1640. Nel Consiglio del 26 luglio del medesimo anno furono nominati Francesco Ghetti e Antonio Gandolfi come procuratori della città. Questi dovevano trattare con gli argentieri di Roma, presentando loro il progetto della statua equestre e pattuendo non solo il prezzo, ma anche le modalità di pagamento. Già il capopriore Tommaso Bagale, deputato dai canonici e dai cittadini, si era recato a Roma per versare a Fantino Taglietti, l’argentiere prescelto, i primi 400 scudi in acconto per l’opera d’arte; egli aveva anche anticipato del suo la somma, non avendo ancora ottenuto tutte le efferte raccolte. Il Consiglio, quindi, avrebbe dovuto quanto prima ratificare lo strumento relativo alla statua votiva e deliberare circa la possibilità di organizzare annualmente una fiera, esente da gabelle. Prima bisognava imporre la colletta per raccogliere i 350 scudi necessari per completare la somma per la statua; la Congregazione del Buon Governo già dal 5 maggio aveva concesso la licenza e la sua applicazione era tanto più necessaria quanto più si doveva restituire il denaro anticipato dal Bagale. Riguardo alla Fiera il Consiglio espresse parere favorevole alla proposta di far cadere la ricorrenza il 1° maggio di ogni anno, previa autorizzazione del Cardinale Protettore. Tommaso Bagale, terminato l’ufficio di capopriore nel mese di giugno, lasciò per il suo successore un pro memoria, nel quale fissava i punti essenziali del programma politico del semestre luglio-dicembre 1640. Questi riguardavano i problemi che egli durante la sua gestione non era riuscito a risolvere: 1. imporre la colletta per i 350 scudi necessari a completare la somma per la statua. Ciò doveva esser fatto conformemente alla licenza del 5 maggio 1640 e alla deliberazione del Consiglio comunale, che nella seduta del 29 maggie 1639 aveva nominato quattro cittadini, deputandoli alla raccolta delle efferte; 2. procurare la sollecita risoluzione della richiesta della fiera per il 1° maggio di ogni anno. Successore del Bagale fu Francesco Moccosi, ma i problemi, che dovette risolvere, impedirono la realizzazione del progetto presentato dal suo predecessore. All’inizio del 1641 si ripresentò la necessità di ottenere una fiera esente da gabelle per il 1° maggio, ricorrenza dell’inventio delle reliquie del Protettore; tale fiera si sarebbe aggiunta a quelle che già si facevano per festeggiare S. Antonio di Padova (13 giugno), S. Maria d’Agosto (16 agosto) e la decollazione di S. Giovanni Battista (28 agosto). Il nuovo capopriore Arcangelo Valenti, essendo camerlengo Ambrogio Gizzi e priori Marzio Cuppini, Giangiacomo Cialini e Francesco Domenici, presentò al Consiglio la memoria di Bagale, che il Moccosi aveva recepito senza, però, realizzare il progetto; di nuovo si richiese al Consiglio comunale di approvare l’esazione della colletta per pagare la statua votiva in onore di S. Ambrogio e di richiedere all’autorità competente l’approvazione della fiera per il 1° maggio. Le attese della Comunità ferentinate ebbero compimento: Fantino Taglietti nell’aprile del 1641 finì la statua equestre in onore di S. Ambrogio e l’opera d’arte, portata a Ferentino, fu consegnata al Capitolo della cattedrale il 30 aprile 1641. Il notaio Giovanni Battista Rosati redasse l’atto della consegna. Il testo del rogito si apre con la narrazione dell’inventio delle reliquie, avvenuta la sera del 27 aprile 1639; quindi il racconto procede con la descrizione del ritrovamento dei vasi e dell’autentica, che attestava la provenienza delle reliquie. Di questa autentica, la cui scrittura per i contemporanei era incomprensibile, si fece una trascrizione più chiara e leggibile e di tutto l’episodio il notaio Pietroconte, in forma di strumento, redasse una precisa relazione. Il clero cittadino e la Magistratura, per mantenere nella memoria della comunità lo straordinario evento, decisero di commissionare un’opera votiva; l’argentiere romano Fantino Taglietti la realizzò per una somma di 972 scudi. Arrivata la statua a Ferentino, processionalmente venne portata in cattedrale al vescovo Ennio Filonardi per la cerimonia della benedizione. Il Vescovo benedisse la statua alla presenza del popolo osannante, del clero e delle magistrature cittadine; quindi il simulacro fu portato nella cappella intitolata a S. Ambrogio, atto simbolico con cui la collettività scioglieva la promessa e offriva la statua al Santo. La cerimonia culminò nella preghiera di offerta della statua, preghiera nella quale si richiedeva l’intercessione del Protettore per la remissione dei peccati e la conversione dei cittadini suoi devoti. Terminata la parte liturgica, il capopriore Giovanni Francesco Ruberti, assistito dai priori Antonio Fabrizi, Marzio Zampinetti e Giovanni Battista Frezza, consegnò a nome del popolo la statua argentea ai canonici Giovanni Battista Canei e Giovanni Matteo Cascese, mensari della cattedrale, presente il vicario generale Tarquinio Moccosi. La custodia della statua votiva era, quindi, trasferita ai canonici della cattedrale; questi avrebbero conservato la statua e l’avrebbero fatta toccare solo da persone , poiché in essa erano state collocate alcune reliquie del Martire. Tutte le reliquie esistenti del martire sarebbero state raccolte nell’altare della cappella di S. Ambrogio, riposte in una cassa, le cui tre chiavi sarebbero state consegnate al Vescovo, ai mensari e al magistrato pro tempore. L’atto notarile, che riporta la relazione dello svolgimento della cerimonia, terminò con la lettura della nota delle spese sostenute, nota che i priori Giulio Ghetti e Marzio Zampinetti portarono da Roma. Il peso dell’argento fu così ripartito: cavallo peso 43 libbre e 4 oncie santo peso 23 libbre e 11 oncie calc peso 2 libbre e 9 oncie La statua equestre, quindi, pesò circa 70 libbre e la spesa per l’acquisto dell’argento si aggirò sui 742 scudi, essendo il prezzo calcolato in ragione di 10 scudi e 60 baiocchi la libbra. A tale somma si aggiunsero altre spese: 30 scudi per il modello, 200 scudi per la manifattura, totale complessivo, 972 scudi. I testimoni Carlo Tibaldeschi e Tommaso Bagale verificarono l’autenticità dell’atto notarile e dopo la stipulazione della scrittura, cantato il Te Deum, la cerimonia fu conclusa. Il 9 maggio 1641 il Consiglio comunale si riunì alla presenza del podestà Costantino Fabrizi, per deliberare il saldo all’argentiere Taglietti per la sua opera. Il suo lavoro era costato 972 scudi ma i soldi raccolti erano stati così ripartiti: 400 scudi erano stati anticipati dal depositario Tommaso Bagale, 100 scudi erano stati anticipati dal Vescovo, 110 scudi erano stati prestati dai consiglieri Giulio Ghetti e Marzio Zampinetti. La spesa per la statua aveva subito una lievitazione nel prezzo, quindi la collettività dovette aggiungere altri 360 scudi e il suo debito salì a 500 scudi, per i quali il Comune richiese licenza di attivare un censo da estinguersi in 6 mesi. A tali difficoltà economiche non furono insensibili i canonici della cattedrale, che concorsero alla spesa offrendo 100 scudi, tratti dalla mensa comune; non così solleciti furono, invece, i sacerdoti di Ferentino, che avevano ricusato insieme con i loro familiari di partecipare alla raccolta di fondi. Il Comune, allora, chiese alla Congregazione del Buon Governo di intervenire, affinché convincesse con la sua autorità gli ecclesiastici ferentinati a contribuire com le loro offerte al raggiungimento della somma prevista per la statua del Protettore; d’altra parte la commissione di un ex voto era paragonabile ad un’opera pia e, quindi, non poteva vedere esentati gli ecclesiastici, i quali per primi avrebbero dovuto partecipare. La Comunità aveva offerto la statua votiva commissionata in onore di S. Ambrogio; toccava ora agli affidatari proteggerla e custodirla in un luogo decoroso e sicuro. Anche per soddisfare questa esigenza fu chiamato in causa il Consiglio comunale di Ferentino; bisognava costruire un armadio (credenzone) per riporvi la statua-reliquiario del Santo Protettore. I fondi nel 1646 ancora non erano stati accantonati e la situazione del Comune non permetteva l’imposizione di nuove tasse. Alcuni proposero di utilizzare entrate straordinarie, che potevano essere desunte dal risarcimento dei danni provocati dagli eredi di Benedetto De Sanctis alla torre Noverana; questo espediente non avrebbe gravato sulle finanze del Comune e avrebbe fruttato 25 0 30 scudi, la somma necessaria alla fattura dell’armadio. Occorreva l’approvazione del Consiglio, ma le sedute del 4, 10, 18, 25 novembre e 2 dicembre 1646, in cui si doveva decidere sulla proposta avanzata nel consiglio del l° novembre, andarono deserte. Solo il 20 marzo 1647 il Consiglio deliberò di imporre agli eredi di Benedetto De Sanctis il risarcimento per i deterioramenti della Torre, danni che ammontavano a 83 scudi. Tolta la somma per compiere le opere edilizie, ivi compresa la copertura da farsi alla torre, il resto sarebbe andato a mastro Cristoforo Rossi, cui era stato commissionato l’armadio-reliquiari. Anche se la custodia della statua era trasferita ai canonici della cattedrale, il proprietario era il Comune di Ferentino, cui spettava l’onere degli eventuali restauri dell’opera d’arte. Il primo intervento di restauro della statua di S. Ambrogio risale al 1846. Giuseppe Giannoni, sacrista maggiore della cattedrale, il 28 aprile 1846 comunicò al gonfaloniere Pietro de Cesaris l’avvenuta ripulitura della statua, lavoro condotto a termine dall’argentiere Francesco Birocchi. Questi utilizzò ben cinque oncie d’argento, perché non solo aveva tolto la patina di ossidazione che oscurava lo splendore della statua, ma aveva dovuto anche intervenire in più punti per restaurare il simulacro. Con una spesa di 13 scudi e 14 baiocchi l’argentiere aveva, infatti, riparato l’asta della bandierina, aveva messo una sul manto del Centurione aveva rifatto la coda e un piede del cavallo, l’elsa della spada e un pezzo dell’impugnatura, che mancava; poi aveva fissato con una vite l’effige del Santo al cavallo e con un’altra vite il cavallo al basamento ligneo, su cui poggiava tutta la statua. Il lavoro era stato eseguito in cattedrale sotto la sorveglianza diretta e personale dello Giannoni (dalla lettera di Giuseppe Giannoni a Pietro de Cesaris (Ferentino, 28 aprile 1846) e nota delle spese per le riparazioni apportate alla statua (Ferentino, 4 maggio 1846). L’ultimo restauro della statua è stato eseguito negli anni ’70 dall’argentiere di Ferentino Fabrizio Dell’Orco.
LA MACCHINA
Non può mancare, a questo punto, il ricordo del baldacchino processionale di S. Ambrogio, che tutti i ferentinati chiamano «la macchina». Purtroppo vandalici ladri hanno violato il baldacchino, che il 4 maggio 1753 il popolo ferentinate donò per trasportare con più decoro la statua argentea del Protettore. L’opera di Filippo Cianfarani, così il nome dell’intagliatore, è formata da una possente base di legno, dalla quale si alzano quattro colonnine sorreggenti il baldacchino. Alla base e all’estremità di queste colonnine otto putti dorati, quattro per lato, sostengono lampade votive; ornano il basamento le insegne militari del Martire. Ai quattro angoli della copertura del baldacchino quattro teste di cherubini completano insieme con i candelieri la sontuosità della macchina” Anche per fabbricare tale baldacchino la Comunità ferentinate impegnò tutte le sue forze. Il 31 agosto 1727 il consiglio deliberò di offrire per la costruzione della nuova « macchina» 50 scudi; la «macchina », fino ad allora usata, era ormai ridotta in pessimo stato e bisognava cambiaria. Per reperire i fondi necessari si supplicò la Congregazione del Buon Governo di autorizzare il prelievo dai sopravanzi di bilancio. Ma ancora nel 1731 per la processione del 1° maggio si usava il vecchio baldacchino, così vecchio e indecente che il Vescovo il 14 aprile, ispezionandolo, aveva sospeso la processione per quell’anno; quindi fu obbligatorio reperire i 200 scudi necessari per pagare la spesa della nuova «macchina», compresi gli ornamenti e la doratura.
Il bozzetto del nuovo baldacchino era già pronto e fu allegato alla richiesta di autorizzazione dell’impegno di spesa, rivolta alla Congregazione del Buon Governo. Nel 1734 il deputato Filippo Stampa cominciò a raccogliere le offerte per sovvenzionare l’opera e il 4 marzo 1735, davanti al notaio Simone Giovannoni e alla presenza dei testimoni Fausto Cortese e Vittorio Bovieri, l’intagliatore Filippo Cianfarani si impegnò a costruire la «macchina» di S. Ambrogio entro il mese di agosto dello stesso anno. L’atto notarile offre un’accurata descrizione del baldacchino, nella cui versione originale ogni puttino doveva sorreggere una cornucopia. Nello strumento si indica anche il legname da utilizzare per l’opera: tiglio per i putti e le cornucopie, «il resto di albuccio domestico o selvatico coll’ossatura della sotto base di castagna». Le parti metalliche del baldacchino erano a carico del Cianfarani. Appena terminata, la «macchina» doveva essere portata a pezzi in Ferentino, dove sarebbe stata montata.
Quando il nuovo baldacchino fu pronto, il costo dell’opera superava di 40 scudi il prezzo preventivato. Riunito il Consiglio il 29 settembre 1737, come era successo per il pagamento della statua votiva, Simone Bellà propose di richiedere alla Congregazione del Buon Governo l’autorizzazione ad utilizzare i sopravanzi del bilancio; ma ancora nel 1738 la Congregazione non aveva dato parere favorevole.
Portare a spalla il baldacchino del Santo nella processione del 10 maggio rappresentava per i giovani ferentinati una gara di devozione e di prestanza fisica; ma la «macchina» era troppo pesante, tanto che il 13 aprile 1846 il governatore di Ferentino richiese l’autorizzazione a far alleggerire il baldacchino per salvaguardare l’incolumità dei portatori.
LA FIERA
Lo statuto comunale permetteva che si svolgesse ad agosto la fiera in onore di S. Ambrogio; ma, quando avvenne l’inventio del corpo del Santo, la Comunità richiese di poter organizzare una fiera libera da dazi e gabelle anche in occasione dello maggio. La richiesta, avanzata nel 1640, ebbe il suggello dell’autorità sovrana con il chirografo di Clemente X del 23 maggio 1672.
Nel 1672 il Papa concesse l’introduzione nel calendario commerciale di Ferentino di un’altra fiera, da svolgersi in onore di S. Ambrogio, il 1° maggio. Insieme con questa autorizzava lo svolgimento della fiera di S. Antonio di Padova (13 giugno), poiché S. Antonio e S. Ambrogio erano particolari protettori di Ferentino e la comunità cittadina li voleva festeggiare aggiungendo alla festa liturgica quella economico-commerciale .
Clemente X fu generoso, concedendo la possibilità che la fiera del 1° maggio si svolgesse nell’arco di una settimana, conteggiando il giorno della festa, i tre giorni precedenti e i tre giorni seguenti la data liturgica. La fiera era esente dal pagamento «di dazi, gabelle, passi, pedaggi, collette e altre. gravezze, imposizioni e pesi tanto ordinari quanto straordinari »; vi si poteva commerciare qualsivoglia sorta di mercanzia, grano, vino, aglio, legumi, biada, «animali tanto quadrupedi e domestici quanto selvatici e volatili».
Per vigilare sul corretto svolgimento del mercato si sarebbero deputati dei sovrintendenti e degli ufficiali e alla Comunità sarebbe stato assegnato l’onere di cosntuire il tribunale presso cui si sarebbero risolte le controversie «civili e criminali », nate dal commercio. Alla fiera poteva partecipare qualsiasi persona «dell’uno e dell’altro sesso, purché non siano eretici, scismatici, nemici e ribelli di Santa Chiesa, banditi e condannati». Il chirografo di Clemente X fu eseguito e notificato dal Tesoriere generale della Reverenda Camera Apostolica, Giovanni Francesco Cumetti, il 29 marzo 1674.
LA DEVOZIONE

Il culto a S. Ambrogio già alla fine del XVI secolo aveva prodotto interventi artistici per consolidare la fede nel Protettore. Il vescovo Silvio Galassi (1585-1591) ordinò di far dipingere nella sacrestia di S. Maria Maggiore l’immagine di S. Ambrogio insieme con quella del Salvatore e della Madonna; davanti a tale raffigurazione i celebranti avrebbero dovuto raccogliersi in preghiera prima della Messa. Durante l’episcopato di Galassi la confraternita dello Spirito Santo
nel 1590 fece ristrutturare la cappella di S. Ambrogio” e nel 1647, durante la visita di mons. Alfredo Conti governatore di Ferentino alla cappella del Patrono, il governatore espresse il desiderio che il Santo venisse onorato più degnamente ampliando e decorando la sua cappella. Per concorrere alle spese offrì del suo 25 scudi; altrettanti ne offrì la confraternita dello Spirito Santo, mentre la Comunità, insieme con le offerte spontanee, avrebbe completato le spese.
Solo dieci anni dopo, nel 1657, durante l’episcopato di Enea Spennazzi (1643-1658) si addivenne alla istrutturazione della cappella del Patrono: essa fu decorata con stucchi e fu coperta con una cupola, secondo il gusto dell’epoca. Tale intervento architettonico fu connesso alla definitiva approvazione della processione dello maggio ad opera della Sacra Congregazione dei Riti, il 24 marzo 1657. Circa cento anni dopo, nel 1747, un altro grande vescovo di Ferentino, mons. Fabrizio Borgia di Velletri, si prodigò per incentivare il culto di S. Ambrogio. Il Borgia ordinò di abbassare il piano della cappella del Martire per ridurlo a quello del pavimento della navata della cattedrale; infatti il piano della cappella era rialzato di cinque gradini rispetto al piano della chiesa. Durante i lavori di sbancamento si rinvennero altre reliquie, che si ritennero del Martire e, perciò, vennero ricongiunte a quelle che il vescovo Chierichelli nel 1707 aveva collocate nell’urna, posta nella fenestella coniessionis dell’altare.
La pietà e la venerazione popolare per il Santo patrono fiorirono nel XVII secolo. Nei secoli precedenti era particolarmente solennizzata la data del martirio (16 agosto) e fino alla seconda metà del XVI secolo ancora a Ferentino si correva il palio dell’ Assunta, 50 per onorare la festività del Protettore. Con il rinvenimento delle ossa e la certezza della presenza fisica del Martire la processione dello maggio divenne così importante da far passare in secondo piano le date del 16 agosto e del 29 dicembre (data della prima traslazione di S. Ambrogio. Il 29 dicembre la comunità cristiana di Ferentino festeggia religiosamente il suo Patrono, celebrando messe in suffragio dei caduti di tutte le guerre).
Conformemente allo spirito coreografico dell’epoca barocca la processione dello maggio a Ferentino assunse una forte caratteristica emozionale: essa prendeva la forma di un lungo corteo di fedeli, ad ognuno dei quali era assegnato il posto che gli competeva secondo il grado e lo stato sociale e religioso. Vi partecipavano anche i confratelli dello Spirito Santo, che durante il percorso del corteo davano pubblica testimonianza di penitenza percuotendosi con flagelli. Il corteo era accompagnato da orchestrali che suonavano violini e viole e, per renderlo più suggestivo, si realizzavano durante il suo percorso sacre rappresentazioni. Nel 1656 alla processione prese parte un fedele che rappresentava S. Cristoforo; successivamente i cortei si arricchirono di angeli, mazzieri, tamburini, crocifissi, stendardi e della «Basilica», grande ombrello che raffigurava simbolicamente la Chiesa. La partecipazione dei flagellanti era l’aspetto più emozionante della cerimonia. Nella processione del l° maggio 1666 parteciparono ben trenta flagellanti della Confraternita dello Spirito Santo di Ferentino.” La Confraternita dello Spirito Santo per obbligo di Statuto praticava la disciplina e ne dava particolare testimonianza pubblica durante la festa del 1° maggio, tanto più perché lo Statuto le imponeva la cura della cappella del Martire, di cui deteneva lo giuspatronato.
In tale cappella la confraternita doveva mantenere davanti al sepolcro del Martire una lampada sempre accesa; inoltre il pio sodalizio era obbligato ad offrire ogni 1° maggio sei ceri di una libbra l’uno per l’altare del Santo e ciò era prescritto dallo Statuto del 1677 al capitolo II, articolo XI.
Il culto del Martire, purtroppo, degenerò in manifestazioni superstiziose tanto che l’autorità episcopale intervenne per arginare ogni abuso. Il primo intervento fu del vescovo Simone Gritti (1718-1729), che nell’editto del 26 aprile 1727 vietò l’abuso di sparare con armi da fuoco durante la processione, consuetudine che avevano preso a praticare anche i chierici. Il vescovo Borgia (1729-1754) tentò il 18 aprile 1733 di abolire le tre processioni notturne del 28, 29 e 30
aprile, permettendo solo lo svolgimento di quella del 30 aprile, vigilia della festa solenne del 1° maggio.
Il Borgia dettò anche una regolamentazione liturgica della processione: i fedeli che vi partecipavano dovevano recitare il rosario, pratica pia alla quale era obbligato anche il clero. Erano bandite altre forme di preghiera, specialmente quelle che nascevano spontanee dal cuore dei devoti, cantilene che la devozione popolare tramandava. Tuttavia la pressione popolare nella ricorrenza del primo centenario della statua (1741) costrinse il vescovo Borgia a dero-
gate dall’editto e a ripristinare la tradizione delle tre processioni, a patto che i fedeli si comportassero con la massima modestia’ e deferenza. Per arginare le tendenze superstiziose del popolo l’autorità ecclesiastica intervenne con opportune scelte catechetiche. Interventi ufficiali erano le omelie che i vescovi ferentinati rivolgevano ai fedeli in occasione della festa di S. Ambrogio.
L’Oftlcium peculiare S. Ambrosii martyris et protectoris praecipui nec non aliorum Sanctorum pro ecclesia Ferentini in Hernicis, pubblicato a Roma nel 1770 raccoglie solo due omelie: la prima, più stringata, è del vescovo Fabrizio Capano (1603-1605) e si attiene in modo esclusivo alla Passio del Martire; la seconda è il discorso che Fabrizio Borgia (1729-1754) tenne al popolo il 10 maggio 1748. Attraverso queste omelie l’episcopato tramandava il racconto delle gesta del Martire ai fedeli ed, esaltando il suo eroismo, li invitava a conformarsi a lui.
L’episcopato ferentinate si servì anche delle processioni come strumento catechetico: nel ricordato editto del 1733 mons. Borgia con sollecitudine pastorale invitò i fedeli a partecipare al corteo, che si svolgeva per onorare il martire Ambrogio, recitando il rosario, tenendo distinti gli uomini dalle donne e obbligando il clero e le confraternite ad indossare gli abiti corali e i paramenti sacri. Nel successivo editto del 1741 mons. Borgia, ripristinando le tre processioni serali preparatorie della festa dello maggio, le inserì in un contesto liturgico. Le confraternite cittadine a cominciare dal 28 aprile per tre giorni consecutivi dovevano intervenire al triduo di preparazione alle festa commemorativa dell’inventio, triduo che si celebrava nella cappella del Santo, dove sarebbero state esposte le venerate reliquie. Dopo la recita delle orazioni e dell’Inno del Santo le confraternite avrebbero svolto un pio corteo per tutta la città, cantando le litanie dei Santi e della Vergine, senza partecipazione di donne. Mons. Borgia recuperava alle processioni del triduo la loro caratteristica penitenziale, che per l’abuso commesso dai fedeli rischiava di essere soffocata da eccessivi atteggiamenti folkloristici, tra i quali spiccava il costume praticato dagli uomini di partecipare al corteo a torso nudo.
Né l’Autorità religiosa trascurava di ricorrere a fervorini recitati da predicatori di professione, così come accadde il 29 dicembre 1783, quando Michele Abbazia, canonico teologo della cattedrale, recitò il panegirico di S. Ambrogio composto per ricordare la festa della traslazione del corpo del Martire nella sua cappella.
La comunità ferentinate non cessò mai di festeggiare il suo Patrono, nemmeno quando il territorio, occupato dai francesi, entrò a far parte dell’Impero napoleonico. Il 22 aprile 1814 il maire (sindaco) di Ferentino Stampa emanò dalla residenza municipale un bando per regolamentare la festa dello maggio.
Preceduta dalle «processioni votive» e dalla «solita fiera franca », la sera del 30 aprile si sarebbe svolta la solenne liturgia dei Vespri, celebrati nella cattedrale e accompagnati dalla musica di Francesco Cenciarelli, maestro di cappella. Poi per le strade cittadine illuminate a festa si sarebbe svolta la processione con la Reliquia, scortata da bande militari. A conclusione della sacra manifestazione «s’incendierà un fuoco d’artifizio nella piazza di S. Valentino».
Il 1° maggio dopo il pontificale, celebrato da un prelato in sostituzione del vescovo Buschi, morto da poco, si sarebbe svolta la rituale processione con la statua argentea del Patrono; di sera le strade si sarebbero di nuovo illuminate, le bande musicali avrebbero allietato i cittadini, nella piazza di S. Valentino ci sarebbe stato un altro fuoco pirotecnico e, a conclusione delle manifestazioni, «nel gran salone di S. Francesco» ci sarebbe stata un’accademia.
Naturalmente le feste non dovevano essere turbate da disordini, spari di «pistoni o qualunque altra arma da fuoco o per le strade o per le piazze o fuori o dentro la città», così come si costumava «nei tempi andati sotto il falso aspetto di solennizzare la festa». Perché questa riuscisse «gradita al S. Protettore, perché venga ammirata e piacevolmente goduta, il buon ordine e la tranquillità devono accompagnarla »: il maire, quindi, bandiva il deprecabile abuso di lanciare «motti e sarcasmi offensivi in generale e in particolare, che sono il fornite di conseguenze funeste… Tutto risuoni allegria, moderazione e buon gusto ». Nel caso si fossero contravvenute le ammonizioni del maire «sappia ciascuno che si userà la forza e colla forza il sommo rigore delle leggi, senza distinzione di grado o di persona ».Un altro tangibile segno della devozione, che i ferentinati nutrivano per il loro Patrono, fu l’offerta di un artistico reliquiario, opera dell’argentiere Belli di Roma. L’Amministrazione Comunale offrì questo dono al Capitolo il 30 aprile 1851, affinché da quel momento potesse conservarsi più degnamente la Reliquia del Martire da portarsi in processione e da esporsi alla devozione dei fedeli.
S. Ambrogio è nel cuore di ogni ferentinate; come affermò Salvatore Morosini nel 1934 «è nelle case e nell’anima del nostro popolo… S. Ambrogio è una tradizione che non si spegne perché è culto, è amore, è vita ». Nessun ferentinate può allontanarsi dalla sua città il 1° maggio; e, se pure ne è lontano, fa di tutto per tornarvi, per mantenere fede al suo santo Protettore.
E’ merito anche dell’azione del parroco don Luigi Di Stefano se il culto al Martire si è indirizzato verso una forma di più pura e sentita spiritualità. Don Luigi ha svolto una paziente opera di indagine storiografica, che ha contribuito a meglio definire il culto liturgico a favore di S. Ambrogio. Non si festeggia il santo Protettore solo con la festa civile o con un rito folkloristico, ritualità che con il trascorrere del tempo possono svuotare la testimonianza della fede; bisogna riscoprire le radici storiche della fede e tramandarle attraverso le testimonianze del tempo alle future generazioni.

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