Le gratificazioni e le onorificenze

Le gratificazioni e le onorificenze di Onofrio LIGOTTI
26 dicembre 2017

Fin dai tempi delle più antiche popolazioni la “pena” serviva da deterrente al compiere azioni criminose, mentre il “premio” spronava il valore e la virtù alle azioni nobili e grandi.
I saggi legislatori accorgendosi che l’orgoglio umano si compiace tanto delle distinzioni reali, quanto di quelle di opinione, pensarono di creare delle ricompense di pura onorificenza, che distinguendo alcuni valorosi cittadini, invogliassero tutti ad imitarne le imprese lodevoli. Queste istituzioni sono variate nel corso dei tempi di indole, di nome e di simboli, ma in sostanza hanno sempre avuto il solo fine di usare l’onorificenza per ottenere grandi azioni.
Le più antiche gratificazioni risalgono agli antichi Re Ebrei che usavano contrassegnare i loro sudditi con marche d’onore tutte le volte che essi si adoperavano in maniera saggia nel vivere civile, o si distinguevano in guerra. I più antichi premi furono la “Collana d’oro” e “l’Anello”. Nella Sacra Scrittura si legge che quando il Faraone chiamò Giuseppe ad assumere il governo dell’Egitto, tolse dal suo dito l’anello e glielo diede assieme ad una collana d’oro, elevandolo di fatto alla dignità di suo ministro. Nello stesso modo Mosè ed il suo successore Giosuè continuarono ad onorare i più meritevoli. Anche i Leviti, Ministri del Tempio, ebbero pure il permesso di portare l’anello d’oro per distinguersi dal popolo.
Secondo Plinio i Greci ai tempi della guerra di Troia non conoscevano ancora l’uso degli anelli, anche se molto verisimile tanto i Greci quanto i Troiani li usavano, anche se Omero non ne fa menzione. Oltretutto in Grecia tutte le leggi tendevano a fare uomini grandi. Una corona d’alloro o d’ulivo era tutto il premio per i vincitori: ciò innalzava gli animi al disprezzo dell’oro e all’ambizione della sola gloria. L’onore di una corona olimpica, ottenuta sotto gli occhi di tutta la Grecia, era per il vincitore di gloria maggiore di quella di un trionfo romano ottenuto in guerra. Entrambe queste onorificenze miravano allo stesso scopo.
Presso i Romani l’essere cavaliere non era una onorificenza dovuta ad azioni lodevoli e personali fatte a favore della res pubblica, ma dipendeva dal valore dei beni posseduti.
Caduto l’Impero Romano i Barbari portarono lo spirito guerriero, che ben presto diede luogo ai tempi detti Cavallereschi.
Quindi i Monarchi d’Europa istituirono degli Ordini di Cavalleria, diretti ad una distinzione e ricompensa personale, animati dallo spirito di proteggere gli orfani, le vedove e gli oppressi ed in guerra difendere il Re e la Patria. Il governo feudale offrì delle sorgenti alla moderna nobiltà. I feudatari, tenuti a fornire i soldati al Sovrano, divennero “militi” in quanto servivano in guerra a proprie spese e siccome la guerra era il mestiere più nobile i termini “milite” e “nobile” assunsero il medesimo significato.
Allo spirito guerriero si innestò lo spirito religioso: in oriente nelle guerre delle Crociate si istituirono vari e famosi Ordini cavallereschi, la cui prerogativa comune era il voto solenne di combattere gli infedeli e cacciarli via dalla Terrasanta.
Re Ruggero I, assumendo il titolo di Re dell’una e dell’altra Sicilia, nel 1140 introdusse il costume di nominare Cavalieri le più nobili persone, concedendo loro l’uso del “Cingolo militare”. Questi nobili avevano il titolo di militi, ma la parola “milite” non solo significava nobiltà, ma era di grande stima e prestigio, poiché soltanto i nobili di primo rango potevano conseguire il Cingolo militare.
L’eccessivo amore che ebbero poi i Re Angioini e Aragonesi armando moltissimi Cavalieri portò a far decadere il lustro e lo splendore del Cingolo militare: allo smodato compiacimento di fare nuove concessioni subentrò pure la venalità di vendere il grado di Cavaliere.
Dall’avvilimento e disprezzo nel quale caddero questi Cavalieri moltiplicati di numero in maniera smisurata nacque finalmente l’origine di particolari Ordini di Cavalleria. Si inventarono quindi nuove milizie di Cavalieri, che tenevano conto del merito, del valore e della illustre progenie, riconducendoli a forme di congregazioni religiose. Al fine di rendere questi nuovi Ordini più augusti e venerabili, si imposero alcuni voti, come di castità, di obbedienza e di alcune regole miste di vita monastica e secolare. Da questa nuova nobiltà nacquero gli stemmi gentilizi, o armi, che erano in sostanza una prova della nobile discendenza.
Anche questi nuovi Ordini di Cavalleria persero il prestigio che avevamo avuto e furono aboliti fino a quando il Re Carlo di Borbone non istituì l’ ”Insigne Real Ordine di San Gennaro”. Da questo momento i nobili e le persone di alta distinzione non si curarono più di gratificarsi con l’appartenenza al Cingolo, né con l’appellativo di milite, ed assunsero quello di Gentiluomo, che altro non significa che uomo nobile o per meglio dire vir nobilis, e che ha un valore maggiore di quello di Cavaliere e Signore. Infine Re Ferdinando di Borbone con la Pragmatica del 25 marzo 1800 e con l’Editto del 29 aprile dello stesso anno istituì il nuovo Tribunale Supremo conservatore della Nobiltà con l’intento di redigere il “Libro d’oro della Nobiltà”.

Ai nostri giorni la gratificazione di un Ordine Cavalleresco non si nega a nessuno, ma questa è un’altra storia!

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